La leggenda del soffione

Già il suo nome è tutto un programma: il tarassaco, conosciuto anche come dente di leone, dente di cane, soffione, cicoria selvatica, cicoria asinina, grugno di porco, ingrassaporci, insalata di porci, pisciacane, lappa, missinina o piscialletto, deriva dal greco  “tarakè” che significa “scompiglio, turbamento” e da “akos” che significa “rimedio”, nome che gli fu dato dagli Apotecari alla fine del Medioevo a causa delle sue proprietà medicamentose.

I vari nomi derivano dalle usanze popolari come ad esempio dente di leone che si riferisce alla forma dentellata delle foglie, oppure soffione perché la sua infruttescenza crea palle di semi leggeri che tutti i bambini, e non solo, amano soffiare via leggeri come fossero bolle di sapone di Madre Natura, mentre il nome piscialletto è dovuto alle sue sorprendenti doti diuretiche. tarassaco

Molti ne parlano nei loro scritti, e particolarmente bella e dedicata alla sua grande resistenza, è la poesia che si può leggere nel libro “Le Fate dei Fiori – Il Libro delle Bambine” di Cecily Mary Barker (che consiglio vivamente a tutti coloro che amano la natura e il mondo nascosto delle fate e dei fiori):

“Guardate le mie foglie dentellate, soffiate le lancette del soffione guardate, fra le siepi, le mie ondate, guardate il prato, il sentiero, guardatemi in giardino, allegro e fiero! Raccoglietemi pure: io cresco ancora, senza chieder permesso né scusarmi, che fate con le vostre zappe, allora? Non riuscirete mai ad estirparmi!
Nessuno mi può fare impressione, perché io sono il Dente di Leone!”

In Francia per indicare che una persona è morta si usa la frase “voir croitre le Pissenlit par la racine” che letteralmente significa “vedere crescere di radice di tarassaco” La leggenda di questi fiori li vede protagonisti di storie di sogni e desideri, i giovani innamorati usavano questa pianta per donargli le loro speranze ed i loro amori e soffiando via decisi i semi (acheni) al vento, si immagina che essi possano avverarsi.  deciso lasciavano andare il pappo e, se tutti gli acheni volavano via, i loro sogni si sarebbero realizzati tanto più in fretta quanto più lontano volava via il seme.

fiore

Nel medioevo le fattucchiere usavano l’olio estratto dal tarassaco per cospargersi il corpo in modo da farsi accettare dalla popolazione e per vedere realizzati i propri desideri.
Poi c’è anche una leggenda che arriva della terre irlandesi che narra come un tempo gli gnomi, gli elfi e le fate corressero liberamente nei prati e boschi ancora incontaminati; fino a quando l’uomo non intervenì con la sua mania di distruggere sempre tutto. Così queste magiche creature dovettero cercare rifugio fra le rocce o nel folto dei boschi, però le fate possedevano abiti troppo appariscenti per riuscire a nascondersi, così spesso venivano calpestate dagli uomini, e fu per questo che si trasformarono in fiori gialli e robusti, che se anche vengono calpestati hanno la capacità di tornare eretti, e si narra che la sua tenace sopravvivenza sia proprio dovuta alla presenza magica delle fate nella corolla del fiore.
Se incontrate questi fiori all’apice della loro fioritura non ignorateli, soffiateli via, divertitevi con loro, i suoi semi viaggeranno lontani e se riuscirete a soffiare via tutti i semi in un colpo solo vi aspetterà un anno ricco di sorprese e magari anche un po’ magico!

Valeria Bonora

Fonte dal sito http://www.eticamente.net/41124/la-leggenda-del-soffione.html

Spongada

Avete preparato la spongada?
Si tratta di un dolce locale originario della Valle Camonica. Altro non è che una focaccia soffice e zuccherina. Il procedimento è lungo, ma il risultato è ottimo!

Ingredienti

1 kg di farina (500 g di manitoba – 500 g di “00”)
100 g di lievito di birra fresco (in panetti)
8 tuorli d’uovo
300 g di zucchero
200 g di burro
2 cucchiaini di sale fino
350 ml di latte
Visita la ricetta completa:
http://www.nonsonounapasticciera.it/ricetta/spongada/

Le colombine per la Festa delle Palme

Uno dei più bei ricordi di tutti gli abitanti sono la magia delle Colombine delle Palme. I papà ed i nonni tagliavano i polloni nuovi dei fichi selvatici e li portavano a casa. Ad aspettarli c’erano i bambini, curiosi di vedere a cosa servisse l’attrezzatura stesa sul tavolo. Il forbice, i chiodi dalle capocchie diverse, i bastoncino di varie dimensioni ed i pezzetti di filo di rame costituivano gli strumenti per realizzare questa meravigliosa opera artigianale.

Con pazienza le mani indurite dal lavoro quotidiano tagliavano i polloni tra i nodi, da cui uscivano, con scoppiettante allegria, bianchi pezzetti di midollo di fico. Le stesse mani poi, con amabile maestria, li intrecciavano, fino a ricavarne piccoli bianchi simboli di pace.

Le mamme e le nonne gli davano un ultimo tocco, tracciando gli occhietti con la matita nera.

Alla fine, le bianche colombine venivano attaccate ai ramoscelli d’olivo che la domenica delle Palme sarebbero state benedette.

Il rito della barca di San Pietro

Torna nella festa del santo l’ antica usanza di trarre auspici da un albume d’ uovo.

Oggi è la festa dei santi Pietro e Paolo, ma per il mondo contadino era la grande celebrazione del solo san Pietro. È una festività che affonda le radici addirittura nell’ antica Roma dove il 29 giugno si commemorava Quirino, divinità sabina, assimilata a Romolo, con cerimonie sul Quirinale. La solennità ricordava quindi i due gemelli fondatori dell’ Urbe. I cristiani s’ ispirarono a tale festa, trasfigurandola nella commemorazione dei due apostoli considerati i fondatori della nuova Roma che in questo giorno si vuole abbiano subito il supplizio sul Colle Vaticano durante la persecuzione indetta da Nerone. LEGGENDE – Il culto di San Pietro venne diffuso nel Medioevo nel territorio lombardo dai monaci benedettini. E questo giorno era considerato feria festivo in molte località già in tempi lontani. Gabriele Rosa ricordava che era assai viva nell’ Ottocento la leggenda secondo cui «nel giorno di San Pietro debba seguire temporale, perché il diavolo promette alla di lui madre di uscire dall’ inferno per quell’ anniversario». Nel timore d’ improvvise burrasche, provocate da temporali, i pescatori non gettavano le reti. I temporali erano anche attribuiti a crisi di nervi della suocera o della moglie di San Pietro. Sul Lago di Garda, a Sirmione e a Desenzano, si vuole – contrariamente alle credenze di altri luoghi – che la notte della vigilia sia assai favorevole per la pesca. In alcuni paesi lombardi di lago sono ricordate e tramandate altre particolari credenze. A Iseo, ad esempio, si ricorda ancora ai ragazzi che le acque sono particolarmente infide perché la madre del santo pretenderebbe un sacrificio umano; e per questa ragione gli iseani sconsigliano di fare il bagno. Sempre la madre di San Pietro, secondo altre tradizioni del mondo contadino, sarebbe invece assai benevola e nei periodi di siccità provvederebbe il 29 giugno a far cadere la pioggia per salvare i raccolti, come tramandano i detti popolari. LA BARCA – In molte località è ancora diffusa la consuetudine della cosiddetta «Barca di San Pietro»; la ritualità con cui è approntata varia da zona a zona, al pari di un tempo. La sera della vigilia si riempie d’ acqua una bottiglia (possibilmente grande, o un fiasco spagliato, o una caraffa) e vi si aggiunge un albume d’ uovo (la ciàra dè l’ öf). Viene quindi riposta in un luogo isolato e buio (in casa o nell’ orto). Con il fresco della notte, l’ albume si rapprende e galleggia assumendo le forme di una barca, con vele e alberi maestri. Alla «barca» vengono attribuiti molti significati: in alcuni paesi si racconta ai ragazzi che è quella dell’ apostolo Pietro, pescatore e traghettatore di anime, o forse da lui usata per diffondere nel mondo la fede di Cristo; in altri che è l’ imbarcazione con cui era sceso all’ inferno per liberare la madre e accompagnarla in cielo (alla madre di San Pietro, che esce o torna all’ inferno, oppure che sfoga la sua cattiveria, sono poi attribuiti i temporali di questo giorno, come sopra ricordato). In qualche paese la barca di San Pietro veniva anche interpretata come auspicio per l’ agricoltura; i presagi dipendevano dalla forma e dal numero delle vele. Nel Bergamasco si credeva che nella casa dove l’ albume avesse formato una barca con vela la sposa avrebbe avuto un figlio e la zitella avrebbe trovato marito. La consuetudine era anche motivo per narrare alcune leggende. E’ QUI LA FESTA – Oggi e domani si rinnoveranno in molti centri della Lombardia le antiche feste dedicate ai patroni santi Pietro e Paolo. E sarà un susseguirsi di manifestazioni folcloristiche, gare sportive e iniziative gastronomiche a coronamento dei riti religiosi. A Ponte San Pietro alle porte di Bergamo, a Cavenago d’ Adda, a Graffignana e a Quartiano di Mulazzano nel Lodigiano, ad Abbiategrasso e ad Arluno nel Milanese, a Sermide, Goito, Viadana, Roncoferraro nel Mantovano, a Cremona con la grande Fiera merceologica, a San Giovanni in Croce, a Moscazzano, a Brescia presso l’ antica chiesa sul Colle Cidneo e in provincia a Castrezzato, a Leno, a Ponte di Legno, a Toscolano Maderno sul lago di Garda. La ricorrenza offriva lo spunto per trarre pronostici sulla stagione dei raccolti. Ad Abbiategrasso, ad esempio, dopo la cerimonia religiosa seguita da processione per le vie della cittadina, veniva dato alle fiamme la sera un pallone di carta e, secondo la direzione verso cui si levava in volo, si ricavavano indicazioni sull’ andamento stagionale. A Villongo, nella Bergamasca, era invece consuetudine, alla vigilia della festa del 29 giugno, distribuire gratuitamente «sei formaggie ed altre cose» grazie al lascito di un ricco possidente che aveva espresso nel testamento tale volontà. Attilio Mazza LE SAGRE Varzi riscopre il salame dei Longobardi Le feste solenni erano sempre accompagnate da grandi bevute e da gradi mangiate «per togliere le foppe della fame dallo stomaco», come tramandano alcuni cronisti. Così a Villongo, oltre a spettacoli lungo il fiume, si celebrava la raviolata sul sagrato della chiesa, distribuzione del prelibato piatto delle solennità. Nella Valle Staffora, e in particolare a Varzi, la festa è quanto mai opportuna per riscoprire il gusto di uno dei salami più famosi la cui origine si vuole risalga addirittura ai Longobardi. Le antiche popolazioni s’ industriarono, infatti, a confezionare cibi a lunga conservazione e la carne di maiale rappresentava uno degli alimenti più importanti. I marchesi di Malaspina considerarono il salame di Varzi un cibo di grande pregio già nel XII secolo, grazie alla confezione accurata e sottoposta a regole severe. Il risultato era ed è eccellente come si deduce dal sapore gustoso, dolce e delicato, con presenza di grasso perfettamente bianco in giusta quantità. (a.m.)

Mazza Attilio

Articolo preso da http://archiviostorico.corriere.it/2002/giugno/29/rito_della_barca_San_Pietro_co_5_0206296151.shtml